Un continente di sinistra

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Con la storica vittoria di Fernando Lugo alle elezioni politiche paraguayane sembra completarsi il percorso di rinnovamento che sta attraversando l’America latina ormai da alcuni anni. Un filo immaginario tiene legati oggi i governi di tutti gli stati del continente, o quasi. Ed è un filo rosso.


Fatte salve le eccezioni rappresentate da Guatemala e Colombia – con cui non a caso gli USA alimentano una politica di fervidi cambi commerciali – la sfida sudamericana è servita: Hugo Chavez in Venezuela, Cristina Fernandez Kirchner in Argentina, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, Ignacio Lula in Brasile, Michelle Bachelet in Cile, Tabaré Vázquez in Uruguay, Alan García in Perù. E da ieri in Paraguay, Fernando Lugo, un ex vescovo. Pur ostacolato e rinnegato dalla Chiesa di Roma, ma sempre un prelato.


Ultimo erede della storica tradizione facente capo alla cosiddetta Teologia della liberazione. Ossia quella riflessione, quella presa d’atto, che le gerarchie ecclesiali latinoamericane elaborarono verso la fine degli anni sessanta, nel momento di massima repressione del dissenso operata dalle dittature militari sudamericane.


Facendo leva su innovativi concetti di emancipazione sociale e politica legati alla fede cristiana, la Conferenza episcopale latinoamericana si schierò senza mezzi termini dal lato degli oppressi, partecipando in molte occasioni ai moti di ribellione con la presa d’armi di missionari e preti. Presto divenuta una vera e propria dottrina politica, la Teologia della liberazione rappresenta un unicum nella storia della partecipazione della Chiesa cattolica alla vita – diciamo così – politico sociale del pianeta.


Non fatevi illusioni. I miracoli si fanno solo a chi servono davvero.A noi ci tocca un partitone di centrosinistramanontroppo, in cui essere cattolici ma anche socialisti è la soluzione ideale per finire col non essere nè l’uno nè l’altro. E guai a chi non si dichiara riformatore. Quale comunista. Quale sinistra. Ma questo è un altro discorso.


Dove invece il PIL medio pro capite è di 200 dollari, la metà del paese vive al massimo appena sotto la soglia di povertà, un paese in cui per lo stesso tempo ha governato un unico partito – il Partido Colorado – ed in cui alla guida del medesimo ci si è avvicendati a colpi di colpi di stato (!), e dove interessi economici, politici e militari definiti “mostruosi” la fanno da padrone, un paese sotto stretta osservazione CIA da sempre, bisogna parlare chiaro.


Nel discorso inaugurale del suo mandato, il “vescovo rosso” – attorno a cui si sono coagulati tutti i partiti di minoranza che mai erano riusciti ad avere visibilità parlamentare – parlando con il suo popolo ha dichiarato

“Voi avete deciso cio’ che deve essere fatto in Paraguay. Voi avete deciso di liberare il Paraguay. Grazie, grazie a tutti!”

Le sfide che attendono il Paraguay sono importanti e difficili: innanzitutto sconfiggere il cancro della corruzione interna, alimentata da una struttura di potere che farà certamente di tutto per ostacolare il percorso di riforme nella direzione della giustizia sociale e delle redistribuzione economica volute da Lugo. E già non è poco. E poi si tratterà di affrontare la sfida della globalizzazione, a cominciare dall’ingresso nella Banca del Sur, passaggio necessario per aprirsi ai mercati internazionali e apparentemente compromesso dagli ultimi anni di governo colorado.


Que te vaya bien, Paraguay.

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