Thyssenkrupp, l’accusa è di omicidio volontario



L’accusa è di omicidio volontario. Siamo sicuri che sia la strada giusta?


I sei imputati per il rogo alla ThyssenKrupp di Torino sono stati tutti rinviati a giudizio. E va bene. Perchè il 6 dicembre del 2007 furono in sette a morire. Sette operai, arsi vivi.


L’amministratore delegato, Harald Espenhahn, dovrà rispondere, per il Giudice dell’Udienza Preliminare, Francesco Gianfrotta, di omicidio volontario con dolo eventuale. Il gup ha accolto tutte le tesi sostenute dall’accusa, rappresentata dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso.

Qui, una spiegazione della differenza tra omicidio volontario, colposo e preterintenzionale. L’art. 43 del Codice Penale spiega:

Il delitto è doloso o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione


In particolare, per Espenhahn, si è rappresentata la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali sulla linea Apl5. Ha accettato il rischio, e (da qui l’accusa di omicidio colposo), in qualche modo lo avrebbe fatto con il preciso scopo di uccidere – o comunque sapendo che avrebbe ucciso. Altro è, invece, l’omicidio colposo. Altro è l’omicidio preterintenzionale. Non è mai successo che si sia arrivati al rinvio a giudizio sia delle persone fisiche che delle persone giuridiche, riconoscendo in un caso anche l’omicidio volontario. Una sentenza storica, dicono.



Ora la domanda però è: storica, ma anche giustizialista? Storica, ma anche dall’effetto boomerang? Il rogo della Thyssen, per una serie infinita di ragioni – per la sua crudezza, per l’assurdità, per il particolare momento, per la decisione di clamore mediatico, perchè la Thyssenkrupp è tedesca… – è balzato (giustamente, il punto è che non dovrebbe trattarsi di un una tantum) agli onori della cronaca.


Ha attirato gli interrogativi angosciati dell’opinione pubblica. Ha sollevato clamore, perchè l’Italia ha bisogno, periodicamente, delle sue grandi storie. Anche se, di lavoro, in Italia si muore ogni giorno.


Il punto sarà ora capire l’iter della giustizia italiana. Interrogarsi per dare, nel modo esemplare e giusto – DOVRA’ essere giusto, per essere credibile – a questa storia una risposta che sia di legge. Di legge di popolo. E non solo. Una risposta che sia formativa per la giustizia stessa, affinchè l’amministrazione di questo Stato, finalmente, possa fare la differenza in un elementare concetto di civiltà e libertà: non morire di lavoro.


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