Se la notte è stata lunga – lunghissima – le ore che restano da qui alle 19, quando l’ufficio di presidenza del Popolo delle Libertà discuterà un documento di censura nei confronti di Gianfranco Fini e dei finiani Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata, rischiano di durare un’eternità. Nel corso della quale vi saranno – eccome – ulteriori tentativi di mediazione, conciliaboli volti a evitare la rottura, azioni di riavvicinamento cui il partito è abituato da qualche mese. In più di uno proverà laddove, nella serata che ha preceduto, non sono riusciti Gianni Letta (che ha incontrato il Presidente della Camera per capire se fosse possibile mettere ogni diatriba sotto il tappeto) e Fedele Confalonieri (al telefono con Silvio Berlusconi ha tentato di distoglierlo dalla resa dei conti). Ma stavolta, pare che qualunque tentativo di riconciliazione sia impresa ardua, improbabile, impossibile.
E non tanto per la determinazione di Fini, che pure ha lanciato un accorato (tattica? depistaggio?) appello al Premier affinchè si dimentichi il passato più rancoroso e si tenga fede al patto sottoscritto con gli elettori (“resettiamo tutto senza risentimenti”, dichiarava Fini a Il Foglio) quanto piuttosto per la ferma volontà di Silvio Berlusconi che, a questo punto, sembra non avere più alcun tentennamento. Stanco dei diktat e dei giochi politici di quello, il Presidente del Consiglio ha deciso di portare avanti la linea dura. La stessa che porterebbe direttamente all’espulsione di Fini e dei suoi tre fidi seguaci.
IL POMERIGGIO, LA SERA, LA NOTTE. Ricostruire quanto accaduto nelle scorse ore significa riprendere alcuni dei passaggi cruciali che hanno segnato il mercoledì appena messo in archivio. C’è stata la conferenza stampa di Denis Verdini, coordinatore PdL, ad allontanare ogni suo coinvolgimento nella P3 e sono arrivate in tempo reale le dichiarazioni di Italo Bocchino che ne chiedeva (una volta di più) le dimissioni dall’incarico ricoperto con replica dello stesso Verdini (“Da Bocchino non prendo lezioni“). Se il vaso lo immaginavamo pieno di crepe, da un momento all’altro ha cominciato a rompersi in cocci.
In quell’istante, il PdL ha fatto crack: rotti gli argini che contenevano la pazienza di Berlusconi, si è proseguito con la presa d’atto di Umberto Bossi che sentenziava: “Se non si incontrano, se non si trovano vuol dire che non vogliono trovarsi. Dunque, ognuno andrà per la sua strada“. In questa fase, ancora due gli scenari al vaglio: il primo, irreprensibile, prevede un documento per l’espulsione dal partito di 4 esponenti (Fini, Bocchino, Fabio Granata e Briguglio); il secondo, più morbido, è quello di stilare un documento che faccia appello (ma sarebbe l’ultima volta) all’unità del partito.
Nessuno aveva previsto, in tutto ciò, che Fini giocasse la carta a sorpresa: intervista a Il Foglio con cui cercare di ricucire lo strappo, allontanare la resa dei conti: “Berlusconi ed io non abbiamo il dovere di essere e nemmeno di sembrare amici, ma dobbiamo onorare un impegno politico ed elettorale con gli italiani. Occorre deporre i pregiudizi, mettere da parte carattere e orgoglio, eliminare le impuntature e qualche atteggiamento gladiatorio delle tifoserie. Non farlo significherebbe veder sparire la credibilità del centro destra e non ci sarebbero né vinti né vincitori, alla fine della mattanza“.
Ma Berlusconi, già in quel momento, era sicuro di cosa fare: in barba all’ultimo appello, nonostante il tentativo di avvicinamento dell’avversario. “Questa è una trappola, non mi fido. Se avesse voluto la tregua, l’avrebbe proposta un mese fa. Adesso è solo un modo per prendere tempo“. Ben poco hanno potuto gli arbitri della partita. Letta, Confalonieri: il Premier stavolta non ha ascoltato nessuno e ha presenziato al vertice tenuto fino a tarda notte (oltre le 2, quattro ore di confronto) a palazzo Grazioli per ribadire la propria posizione. Fini è fuori dal PdL, pronto un duro documento di censura politica nei confronti del cofondatore del partito. Già fatti i conti: nessun problema per la tenuta della maggioranza. “Fini vale dieci deputati e in percentuale si attesta all’1.4%“, avrebbe ripetuto Berlusconi ai più stretti collaboratori. Ma, nonostante la fermezza del Premier, la tensione all’interno del partito è alta, altissima.
LA MATTINA. Lunga, lunghissima. In attesa che si discuta il documento predisposto nella notte (l’Ufficio di presidenza si terrà intorno alle 19), occorre leggere tra le righe delle parole pronunciate da Ignazio La Russa e cogliere l’amarezza di Gianni Alemanno. Il Ministro della Difesa: “Che succederà oggi? guardate le previsioni del tempo. Si annuncia una perturbazione…“, fuori piove per davvero e allora ti chiedi che mai avrà voluto dire e se un Ministro della Difesa, in fin dei conti, debba essere ermetico per necessità professionale. Il sindaco di Roma: “Spero sempre che ci sia un miracolo nelle prossime ore“. Affidarsi a un miracolo, ovvero riconoscere che non c’è più nulla da fare.
Lo scenario pare scritto: la parola più utilizzata nelle prossime ore, nei prossimi giorni dovrebbe essere “espulsione“. Poi, per carità, alla bocca di qualcuno diventerà “epurazione”, alla bocca di qualcun altro si trasformerà in “pulizia”. E, ad avvallare l’ipotesi, anche il fatto che 25 deputati finiani (un po’ più dei 10 indicati da Berlusconi) avrebbero già firmato la richiesta di costituzione di un nuovo gruppo parlamentare e sarebbero pronti a depositarla nel peggiore dei casi.
2 commenti su “Fini espulso dal PdL? “Vale dieci deputati e l’1.4%””