Beato chi crede nella giustizia… perché verrà giustiziato

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La notizia è di oggi. Il figlio più piccolo di Salvatore Riina è libero. Fin qui nulla di scandaloso. Ciò che lascia perplessi, è che Salvatore Riina (omonimo del più celebre padre) non è libero per avere scontato la pena a seguito delle accuse a lui rivolte – e per cui è stato condannato ad otto anni e quattro mesi per associazione delinquere di stampo mafioso – bensì per scadenza dei termini di custodia cautelare in carcere.


Per chi legittimamente non masticasse il linguaggio giuridico, cercherò di chiarire. Vuol dire che, essendo trascorso troppo tempo prima che venisse presa una decisione circa le accuse a lui mosse, Salvo Riina ha potuto usufruire delle macchinose procedure del sistema giudiziario italiano, che lo hanno portato fuori dal supercarcere di Sulmona, in cui era detenuto in regime di carcere duro – il famigerato 41 bis – per cosiddetta decorrenza dei termini.


La cosa scandalosa (sì, scandalosa!) e’ che il pronunciamento “mancante” che ha cagionato l’illustre scarcerazione, è della stessa Corte di Cassazione, dilungatasi oltremodo sul pronunciamento a cui era chiamata.


Ricapitolando, la Cassazione decide di scarcerare un criminale, condannato due volte, perchè la stessa Cassazione non ha ancora emesso il giudizio definitivo, e nel frattempo il tempo è scaduto. Ma dai…


Ora, è necessario sottolineare che l’imputato – e condannato – in questione, non ha di certo goduto di un qualche speciale beneficio… è proprio una legge dello Stato che ha partorito questa mostruosa contraddizione. Naturale dunque domandarsi come sia possibile.


Naturale domandarselo, ma non in Italia. Un paese in cui il novantacinque per cento (!) dei delitti rimane impunito. Un paese in cui è diventato troppo facile – se te lo puoi permettere – allungare la normale durata di un processo fino a renderlo inutile. In una parola, prescrizione. In questo caso, la morale è più o meno così: ti giudichiamo – con aggravio di tempo e di spesa per le casse dello Stato – ma la sentenza a cui forse arriveremo, non vale un fico secco. Insomma, abbiamo scherzato. Tutto questo in un paese in cui la prescrizione vale di fatto un’assoluzione (leggasi Andreotti).


Un paese in cui anziché cercare la soluzione per accorciare la durata dei processi, si trova il modo di accorciare i tempi di prescrizione. Un paese in cui il solo legittimo sospetto è quello dell’imputato. Un paese in cui, in nome del giusto processo, viene da 15 anni a questa parte devastata una Costituzione che tutto il mondo ci invidia. La logica che ha ispirato le illuminate riforme della Giustizia – a firma Castelli e Mastella – sembra davvero essere quella della rassegnazione. O forse quella dell’impunità.

La magistratura è il potere dei senza potere

Così declamava Vaclav Havel, politico e scrittore cecoslovacco. Ed aveva ragione. Certo, i veleni che circolano nei Palazzi di Giustizia ed il corporativismo correntizio della magistratura non partecipano a chiarire le idee sull’argomento. Ma quando il potere dei senza potere viene usurpato da quelli che il potere ce l’hanno eccome… beh allora mi pare legittimo avere dei sospetti.

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