Attentato in Israele: razzi su due bus. Raid di rappresaglia su Gaza

Torna, purtroppo, a insaguinarsi la Terrasanta. C’è stato infatti un nuovo attentato in Israele, vicino alla città turistica di Eliat, dove questa mattina i terroristi hanno attaccato due autobus di linea, oltre ad unità militari e auto private.
I primi scontri si sono verificati in tarda mattinata sulla statale 12, alla frontiera tra Israele ed Egitto, dove un commando armato ha sparato con dei kalashnikov da una vettura contro un autobus che aveva a bordo decine di passeggeri, tra i quali alcuni militari in libera uscita. Venti persone sono rimaste ferite, e di queste una è deceduta più tardi in ospedale.
Non molto dopo, un secondo attacco contro un veicolo privato, in prossimità di Beer-Ora, fa altre sei vittime, un’intera comitiva familiare di gitanti. Intanto, un’unità militare che stava andando in soccorso del primo autobus cadeva in una trappola minata preparata dagli assalitori, riportando anch’essa diverse vittime. Infine, un terzo gruppo di terroristi, ad alcuni chilometri di distanza, ha lanciato alcuni razzi anticarro contro altre due vetture, provocando altri sette feriti.
Le forze di sicurezza israeliane, dopo aver setacciato la zona con battute a vasto raggio ed elicotteri, hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con la cellula di terroristi più numerosa, uccidendo sette di loro.

Obama: “Sostegno alla democrazia in Medio Oriente. Israele torni ai confini del ’67”

Foto: Ap/LaPresse

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, a due anni dal suo discorso al Cairo, ha illustrato oggi, in un altro atteso discorso, la strategia americana verso il mondo arabo. Obama ha promesso sostegno alle riforme e al passaggio verso la democrazia in tale regione, pur precisando che non è possibile imporre cambi di regime dall’estero. Ma dal presidente americano è venuta anche un’inattesa presa di posizione sulla questione israelo-palestinese, proprio prima di incontrare, domani, il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Per Obama, lo status quo tra israeliani e palestinesi “non è più sostenibile”, e da una parte Israele ha diritto alla sua sicurezza, dall’altra i palestinesi alla loro indipendenza, che non potranno raggiungere “negando a Israele il diritto di esistere”. Andrebbero quindi creati “due Stati per due popoli“,che riescano a vivere pacificamente uno accanto all’altro, e andrebbero ripresi i negoziati, mentre il futuro Stato palestinese, secondo il presidente statunitense, andrebbe smilitarizzato, e i confini dovrebbero ricalcare quelli del 1967.
Spiega Obama: “Per decenni il conflitto arabo-israeliano ha portato la guerra nella regione. Il popolo palestinese non ha ancora uno Stato. Per molti è impossibile un passo avanti, ma io non sono d’accordo.” E assicura: “Gli Usa faranno tutto quello che è necessario per andare oltre l’attuale empasse”.

Medio Oriente, Abu Mazen – Netanyahu: prove di pace a casa di Obama

Lo scetticismo di molti – non sono certo campate per aria le parole di Aaron David Miller, ex negoziatore Usa, che indica nella eccessiva distanza tra le parti uno dei motivi per cui l’accordo di pace pare difficilissimo – ha motivo – soprattutto storico – di esistere ma gli sviluppi degli ultimi giorni, con i negoziati svolti negli Stati Uniti alla presenza di Abu Mazen, primo  ministro palestinese, Benjamin Netanyahu, primo ministro isareliano e Barack Obama, presidente Usa in cerca del miracolo (dopo l’annuncio della conclusione del conflitto in Iraq, dove le truppe americane presenti presteranno solo opera di formazione e addestramento).

Siete le persone giuste per porre fine al conflitto“: con tali parole, Obama ha accolto i due leader, incitandoli a compiere un percorso da concludersi nel tempo di un anno. Lo stato delle cose è che Abu Mazen e Netanyahu sono già riusciti, nel loro faccia a faccia isolato, senza la presenza di nessun altro, a individuare un modus operandi al fine di portare a compimento l’intero progetto: l’ottimismo alla Casa Bianca circola senza ombra di dubbio, si è trasformato in qualcosa di più non appena i due leader hanno stretto le reciproche mani in pubblico, sotto lo sguardo di Benjamin Franklin.