Dopo due giorni di assedio, i ribelli libici hanno alla fine espugnato il bunker di Gheddafi a Bab al Aziya, bombardato anche dagli aerei Nato, ma non vi sarebbe traccia nè di Gheddafi, che pure vi si nascondeva fino a pochi giorni fa, nè dei suoi figli. Prima di riuscire a penetrare nella fortezza, gli insorti hanno combattuto aspramente per tutto il pomeriggio contro le forze del regime che presidiavano il bunker.
Nel tardo pomeriggio, poi, è stato sfondato un cancello e abbattutti alcuni metri delle mura esterne, e, pian piano, anche i combattenti lealisti hanno cominciato a opporre meno resistenza. I ribelli hanno quindi perlustrato la residenza di Gheddafi stanza per stanza, ma non hanno trovato traccia del Colonnello. Gli insorti avrebbero anche decapitato una statua del rais all’ingresso della fortezza. I primi giornalisti entrati nel bunker hanno riferito della presenza di numerosi cadaveri, forse soldati di Gheddafi, e molti feriti.
Il presidente del Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi Mustafà Abdel Jalil ha però ammonito: “E’ prematuro dire che la guerra a Tripoli è finita“, mentre in molte zone, come quella dell’aereoporto di Tripoli, proseguirebbero i combattimenti.
Gheddafi, intanto, si sarebbe fatto vivo ieri con un suo amico, il campione di scacchi russo Kirsan Ilymunzhinov, al quale avrebbe detto al telefono: “Sono a Tripoli, sto bene e non ho nessuna intenzione di lasciare la Libia”. Nella notte, invece, avrebbe parlato ad una radio locale, minacciando: “Morte o vittoria contro l’aggressore“, e spiegando: “la ritirata da Bab Al-Azizya è stata una mossa tattica. Ormai il compound era stato raso al suolo da 64 attacchi aerei della Nato”.
Ban Ki-Moon
Attentato in Israele: razzi su due bus. Raid di rappresaglia su Gaza
Torna, purtroppo, a insaguinarsi la Terrasanta. C’è stato infatti un nuovo attentato in Israele, vicino alla città turistica di Eliat, dove questa mattina i terroristi hanno attaccato due autobus di linea, oltre ad unità militari e auto private.
I primi scontri si sono verificati in tarda mattinata sulla statale 12, alla frontiera tra Israele ed Egitto, dove un commando armato ha sparato con dei kalashnikov da una vettura contro un autobus che aveva a bordo decine di passeggeri, tra i quali alcuni militari in libera uscita. Venti persone sono rimaste ferite, e di queste una è deceduta più tardi in ospedale.
Non molto dopo, un secondo attacco contro un veicolo privato, in prossimità di Beer-Ora, fa altre sei vittime, un’intera comitiva familiare di gitanti. Intanto, un’unità militare che stava andando in soccorso del primo autobus cadeva in una trappola minata preparata dagli assalitori, riportando anch’essa diverse vittime. Infine, un terzo gruppo di terroristi, ad alcuni chilometri di distanza, ha lanciato alcuni razzi anticarro contro altre due vetture, provocando altri sette feriti.
Le forze di sicurezza israeliane, dopo aver setacciato la zona con battute a vasto raggio ed elicotteri, hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con la cellula di terroristi più numerosa, uccidendo sette di loro.
Guerra civile in Egitto, FOTO: esercito in strada, almeno 20 morti
Continua a divampare in Egitto la protesta contro il presidente Mubarak, e, nonostante l’ intervento dell’ esercito, i dimostranti continuano ad occupare strade e piazze delle principali città, e, secondo quanto avrebbe riferito la tv di stato, avrebbero assaltato il ministero degli Esteri. La stessa tv di stato ha annunciato l’ inizio del coprifuoco, che sarà in vigore fino alle 8 di domani mattina, ed è stato esteso a tutto il Paese. Ci sarebbero inoltre almeno una ventina di vittime, mentre i feriti sarebbero oltre mille, e 400 persone sarebbero state tratte in arresto.
Il presidente Husni Mubarak dovrebbe tenere un discorso alla nazione. I manifestanti, comunque, sembrano per ora ignorare il coprifuoco, sia al Cairo, dove hanno assaltato anche la sede della televisione nazionale,sia a Suez, dove alcuni sarebbero saliti sui blindati dell’ esercito, e questi avrebbero risposto aprendo il fuoco. L’ opposizione ha ribattezzato le manifestazioni di oggi “il venerdì della collera“, e un corrispondente della tivù di stato ha riportato che “la manifestazione non è guidata da alcun esponente politico e animata in maggioranza da giovani fra i diciotto e i trent’ anni”.
Sicurezza, con fiducia i tre maxi-emendamenti
Al Parlamento, oggi, tre voti di fiducia sul “pacchetto sicurezza”, le ronde padane, il prolungamento dei tempi di permanenza nei centri di accoglienza per gli immigrati extracomunitari. E si acuisce lo scontro Italia-Nazioni Unite a proposito dei “respingimenti”. Il ministro Roberto Maroni l’ha definita “svolta storica“, mentre Ban Ki-moon è intervenuto a sostegno dell’Alto Commissariato dei Refugiati dell’Onu per dire che gli immigrati – soprattutto coloro che chiedono diritto d’asilo – vanno accolti.
Un dossier di Repubblica, oggi, riporta come, l’anno scorso, ci sia stato un boom di richieste di diritto d’asilo da parte degli extracomunitari giunti in Italia. Ne parla anche Roberto Saviano, oggi, sempre su Repubblica. Il suo articolo si chiama: Il coraggio dimenticato. I vescovi non ci stanno, la Cei parla.
Medioriente: Isreale non si fermerà
Oggi, leggendo un po le notizie qua e là sul web prima di iniziare a scrivere il mio post, mi sono reso conto di una cosa; la situazione nella striscia di Gaza non ci fa sentire più come degli uomini. Non so perchè ma la naturalezza con cui mi sono ritrovato a leggere degli ennesimi morti in Israele, 60 di parte palestinese e 2 da parte israeliana, mi ha fatto sentire meno umano. 62 persone, 62 uomini prima di tutto, prima ancora che israeliani e palestinesi. Che lottano per conquistare la terra che, a loro modo di vedere, gli spetta, ma che lottano soprattutto per non perdere la vita e la libertà.
Nella Striscia di Gaza la situazione è attaccata ad un sottile filo. Basta la minima brezza che potrebbe portare all’offensiva israeliana definitiva. Certo, pensare che 60 morti di parte palestinese non siano un offensiva definitiva fa un po rabbrividire, ma è così. La lotta di Israele al terrorismo è iniziata secondo Olmert, primo ministro israeliano:
Israele non ha nessuna intenzione di fermare la guerra al terrore neanche per un secondo. Rivendichiamo il diritto di difendere i nostri concittadini nel sud del Paese.
Libano: Altre quattro morti invisibili
Vivere nei paesi di matrice islamica, al giorno d’oggi, significa imbattersi, prima o poi nella propria vita, in un attentato di stampo terroristico. Sembra uno scherzo, ma non passa giorno che in Libano, in Iraq, in Israele, o in quale altro paese mediorientale non vi è almeno un attentato.
Sia questa una bomba pre-installata in un luogo pubblico, una raffica di colpi improvvisa sparata sulla folla o un attentato suicida da parte di qualche kamikaze di una chichessia organizzazione.
Le motivazioni rimangono sempre tra le più disparate. Ovviamente per gli assalitori lo scopo è raggiungere il paradiso sacrificando la propria vita in onore della religione (che vai a saperlo, ma tutti i musulmani che conosco io in Italia mi dicono che non è assolutamente vero che la religione islamica dice questo). Mentre per tutti quelli che sono al di fuori del mondo mediorientale si tratta solo di pretesti bellicosi, piccoli segni che vogliono dimostrare allo stesso tempo una grande forza.
Kenya: Dialogo tra tutti, tranne che tra Kibaki e Odinga
Sono ormai 15 giorni che il Kenya sta vivendo giorni di terrore, a causa della crisi creatasi al termine delle elezioni presidenziali e i suoi contestatissimi voti. Personalità da tutto il mondo stanno cercando di intervenire per placare gli animi che sembrano non volersi raffreddare, anzi danno l’impressione di continuare a scaldarsi.
Dopo gli interventi di John Kufour prima e di Kofi Annan poi, ora è arrivato il momento di Ban Ki-Moon, segretario generale dell’ONU. Il messaggio di Ki-Moon è chiaro e semplice:
Ho invitato i leader politici keniani a trovare con urgenza e attraverso il dialogo una soluzione accettabile per risolvere la crisi politica e perché il paese ritrovi il cammino della pace e della democrazia. Inoltre ho lanciato un appello perchè i dirigenti keniani, il governo come l’opposizione, evitino misure o azioni suscettibili di compromettere la ricerca di una soluzione amichevole della crisi nel paese.