Giorgio Almirante e la toponomastica revisionista

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Pochi giorni fa il calendario registrava l’ennesimo anniversario triste della pur breve storia repubblicana del nostro paese. Ventisei anni e qualche giorno fa la strage di Peteano (nella foto il luogo dell’attentato).


Il 31 maggio 1972 qualcuno chiama il 112 di Gradisca d’ Isonzo (Gorizia): “C’è una 500 abbandonata con due fori di pallottole in località Peteano”. E’ una trappola. Una pattuglia esce a controllare quella macchina. Uno dei militari apre il cofano e scoppia una bomba. Muoiono tre carabinieri, altri due restano gravemente feriti. La voce al telefono è di Carlo Cicuttini. Cittadino spagnolo, Cicuttini si rifugia a Madrid fino all’aprile del 1998, quando la procura di Venezia gli tende un tranello facendogli offrire un lavoro a Tolosa, in Francia. Lui si presenta e finisce in manette, 26 anni dopo Peteano.


Diversa la sorte dell’altro colpevole della strage, Vincenzo Vinciguerra, reo confesso dopo essere stato incastrato dalle rivelazioni di un altro terrorista nero, Giovanni Ventura. Erano gli anni della strategia della tensione, e parecchie sono ancora oggi le zone grigie in cui è possibile, spesso verosimile, a volte certo, ipotizzare una sordida contiguità tra i servizi e le organizzazioni terroristiche dell’epoca. Il fantasma del colpo di stato ha lambito il nostro paese in più di un’occasione in quegli anni. Gli anni di piombo.


E cercando ulteriori informazioni in giro per il web mi sono imbattuto in alcuni approfondimenti sulla strage, diciamo così, a mio avviso emblematici del meccanismo di distorsione delle notizie attualmente adottato dal mainstream.


E’ sempre di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo dibattito sull’opportunità di intitolare alcune strade a personaggi della politica italiana del passato. I nomi proposti in realtà son sempre gli stessi, da Craxi a Berlinguer passando per Almirante. Stop. Sorvolando per una questione di decoro sulle obiettive differenze tra i nomi e le storie personali dei “candidati”, non possiamo soprassedere su alcune cosine, forse rilevanti.


Benchè il dibattito restauratore sulla Prima Repubblica e sull’operato del pool di Milano nell’affaire Tangentopoli – come dimostrato dal botta e risposta Borrelli-Amato di questi ultimi giorni – non sia affatto sopito, sia detto chiaramente che fino alla prova del contrario la latitanza non può essere chiamata esilio.


Quello che però ha attirato maggiormente la mia attenzione è una vicenda personale che riguarda Giorgio Almirante. E non mi riferisco alle “parole vergognose” scritte in difesa della razza durante il regime né tanto meno il suo furore repubblichino, argomenti questi usati per controbattere agli argomenti del sindaco neocon – praticamente un neosindacon – Gianni Alemanno. Mi riferisco proprio alla strage di Peteano.


Ho infatti appreso che proprio Almirante fu indagato per favoreggiamento aggravato nei confronti di Cicuttini, sostenendo lui stesso le spese per affrontare un intervento chirurgico alle corde vocali di quest’ultimo durante la latitanza spagnola e uscì dal processo solo grazie ad un’amnistia. Aggiunto questo elemento alla descrizione della vita e delle opere del personaggio, onestamente credo che nessuno possa essere d’accordo ad intitolare una strada a Giorgio Almirante se non appunto con la dicitura espressa lucidamente dal professor Gennaro Carotenuto nel pezzo che ha dato la stura a questa mia piccola ricerca: Via Giorgio Almirante, terrorista.


Un’altra gustosa coincidenza mi si è poi parata nel corso del peregrinaggio virtuale, e a fare da sfondo c’è sempre quel Cicuttini condannato all’ergastolo per la trappola di Peteano. Nel 2002 l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli, quello per la certezza della pena a tutti i costi, trasmette la richiesta di concessione dell’estradizione dell’ex appartenente di Ordine Nuovo “esprimendo parere positivo al trasferimento in Spagna del medesimo Cicuttini” sovvertendo un precedente parere negativo dato dalla gestione Fassino del ministero di via Arenula e trovando però un ostacolo nei giudici di Venezia.


In base ad un amnistia intervenuta in Spagna per i reati di cui è accusato, il Cicuttini infatti non sconterebbe un giorno in più di galera, potendo godere di fatto di una grazia vera e propria. La Cassazione ha poi messo la parola fine sulla vicenda Cicuttini confermando il parere dei giudici di Venezia.


Quando si dice la certezza della pena, e l’incertezza delle idee.

2 commenti su “Giorgio Almirante e la toponomastica revisionista”

  1. Tante vie dedicate a Togliatti Palmiro che era sempre a Mosca a prendere ordini (informatevi).

    Mentre Almirante era un gerarca sanguinario dei campi di concentramento nazisti: tanto è vero che lo votava anche Borsellino (informatevi) e chissà perché.

  2. Si chiedono cosa ha fatto Almirante?
    Ha fatto ( da volontario) 5 anni di guerra e due di latitanza dormendo nei vagoni dei treni abbandonati per non rinnegare il suo credo: i partigiani lo cercavano per fucilarlo.
    Ha aderito alla Repubblica Sociale perché era un uomo di grande fedeltà e dignità.
    Poteva solo morire perché combatteva una guerra già persa.
    Ha rischiato la morte per le sue idee: non mai consegnare l’Italia al capitalismo americano e alla barbarie comunista o capitalismo oligarchico di Stato.
    Credeva nella Patria libera dalle ingerenze straniere e nella socializzazione delle imprese (gli operai sono padroni: cogestione e distribuzione equa degli utili e non lavoro subordinato o salariato).
    Nel dopo guerra è stato sempre segregato ed emarginato.
    Non si è piegato mai a compromessi o cedimenti: ONORE.
    Lasciava al Partito gran parte del guadagno da parlamentare e anche ciò che ereditava personalmente.
    Era onestissimo e non non sapeva nemmeno cosa significasse la parola RUBARE.

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