Wikileaks: Berlusconi incapace, portavoce di Putin. Ma ce n’è anche per Gheddafi e la Merkel

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I documenti riservati della diplomazia americana, come era stato annunciato, sono stati diffusi ieri da Wikileaks e subito rilanciati su internet dai principali quotidiani internazionali, El Pais, New York Times, Guardian e Le Monde. Si tratta di oltre 200 mila documenti, di cui 3012 riguardanti l’ Italia, che avranno ripercussioni sulle relazioni diplomatiche internazionali.

Il presidente del Consiglio italiano Berlusconi viene definito dall’ incaricata d’ affari americana a Roma, Elizabeth Dibble, come ” incapace, vanitoso e inefficace come leader moderno europeo“. Viene inoltre descritto come “fisicamente e politicamente debole”, per le “frequenti lunghe nottate” per le quali “non si riposa a sufficienza”. Ma Berlusconi sarebbe poco affidabile, per gli americani, anche per via dei suoi rapporti con Putin, del quale  viene definito “il portavoce in Europa.” Secondo i documenti resi noti da Wikileaks, ci sarebbero rapporti sempre più stretti tra i due leader, con “regali sontuosi” e “contratti energetici lucrativi”. e vi sarebbero anche “misteriosi intermediari”.

Usa al voto: la Camera ai Repubblicani; Obama mantiene il Senato – FOTO

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Si conclude sostanzialmente con un pareggio la lunga giornata delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, con i Repubblicani che riconquistano la maggioranza alla Camera mentre il partito di Obama, contrariamente alle aspettative,  riesce comunque a tenere il Senato. E’ proprio al Senato che si è giocata buona parte della partita, visto che era questo lo scoglio principale per le riforme di Obama, come quella della sanità.

La sconfitta dei democratici, pur non essendo così netta, è comunque un segnale d’ allarme per il presidente, se si tiene conto che, dai primi sondaggi, sono proprio le categorie che gli avevano consegnato la vittoria due anni fa a voltargli le spalle ora: le donne, la classe media, i bianchi, gli anziani e gli indipendenti.

Obama ha parlato alla nazione oggi all’ una di Washington, le 18 in Italia, assumendosi la responsabilità della sconfitta e richiamando tutti alla necessità di collaborare insieme per far fronte alle varie sfide, in particolare quella economica, vista l’ importanza che la crisi economica ha avuto in queste elezioni. Già ieri dopo la mezzanotte aveva chiamato l’ attuale speaker democratica della  Camera, Nancy Pelosi, e Joen Benther, il repubblicano che andrà a sostituirla, augurandosi di “lavorare con lui e i repubblicani per trovare un campo d’ azione comune”.

11 settembre 2010

Sono passati nove anni dall’attentato che – l’11 settembre 2001 – colpì al cuore l’America, improvvisamente vulnerabile e terorizzata dal fatto che i confini dello Stato non fossero più sinonimo di sicurezza. Al Qaeda riuscì a minare la stabilità del sistema politico-economico a stelle e strisce (di rimando, quello planetario) decidendo di seminare panico e terrore come mai nessuno prima s’era azzardato a fare. Agendo, cioè, da stranieri su territorio nemico. Sono bastati 19 attentatori ubicati su quattro aerei per lacerare gli Stati Uniti, metaforicamente e concretamente. Il crollo delle due torri gemelle (sono rimasti, al loro posto, Ground Zero e una serie di progetti da capogiro per riqualificarne l’area), simbolo indiscusso di New York (che, di rimando, è emblema della Nazione), ha fatto il paio con le 2965 vittime accertate, il cui ricordo rimane riferimento indiscusso per non dimenticare che da allora, nulla è più come prima.

Non penso certo alle aule dei palazzi fatiscenti, alle poltorne su cui adagiano pantaloni cuciti dalle più importanti maison, ai referenti delle Istituzioni di ogni angolo del pianeta. Non penso a chi ha maggiori strumenti per capire e mostrare cognizione di causa. Nè tantomeno a coloro i quali hanno facoltà tali e virtù di spicco per riuscire a prodigarsi in analisi lungimiranti, storico-politiche, socio-economiche. E neppure a chi – le cause e le conseguenze di quanto accaduto – ha modo di gestirle, controllarle, determinarle. Allora il Presidente dell’America era George Bush, ma non penso a lui. Oggi gli è subentrato Barack Obama, ma non mi riferisco neppure all’uomo del “sì, che possiamo”.

Il pensiero va alla gente comune, alla massa. A quell’insieme di persone che compone la casistica del cittadino “medio”. Mediamente informato, mediamente interessato, mediamente coinvolto. Immaginando questo tipo di individuo – lo stesso che in ogni sondagggio (quanto contano cifre e statistiche, oggi? Ci si fa la Storia, quella grande) si colloca dove sta la maggior parte – mi viene facile assimilarlo, per modo di vivere pensare agire sbagliare includere ed escludere, al maggior numero di quelle quasi tre mila vittime che non riuscirono ad arrivare al mezzogiorno di quel giorno di settembre. E’ per questo insieme di cittadini (manco a dirlo, la maggioranza del pianeta) che nulla è stato più come prima.

Perchè coloro ai quali occorreva prestare sicurezza, non si sono pù sentiti sicuri. Chi necessitava di una guida, ha fatto fatica a trovarne una. Quanti chiedevano garanzie, non si sono più sentiti garantiti. Non solo. Coloro a cui andava offerto un futuro, non l’hanno avuto. Chi aveva il diritto di riempirsi il borsellino, ha pagato lo sciacallaggio della Borsa. Quanti insegnavano il rispetto delle libertà altrui, si son visti privare della propria. A colpi di artiglieria, a furia di allarme bomba nelle metro delle principali metropoli, di inflazioni, deflagrazioni, svilimento, impauperamento, connivenze, segreti, conciliaboli, formalismi. A furia di seminare terrore, spargere paura. Partorire dalla differenza solo insofferenza.

Florida 11/9, pastore Jones: “Corano in fiamme”

L’undici settembre è alle porte. Il nono dall’attentato che – Torri Gemelle distrutte, migliaia tra morti e feriti, America colpita al cuore – ha cambiato le sorti del mondo. Oltre ai 19 dirottatori dei 4 aerei di linea, vi furono 2974 vittime (la maggior parte delle quali, civili) e 24 dispersi. Lo si ricorderà – questo passaggio indelebile della storia – in maniera differente, con richiami appositamente studiati, in ogni angolo del pianeta.

Eppure stavoilta, tra le miriadi di lezioni di civiltà che ne scaturiranno, si rischia di incappare in un inconveniente spiacevole e – già pervenute le minacce del caso – in grado di minare i precari equilibri tra occidente e oriente. Tutto nasce da un dato – ovvero, la probabile costruzione di un centro islamico in Ground Zero a New York (quindi, sui luoghi dell’attentato); ogni cosa è riconducibile a una persona: il pastore della Florida, Terry Jones.

Volto asciutto, baffi e barba che richiamano quelle degli sceriffi anni ’50, determinazione da vendere: ci provassero, ha detto in sintesi, a costruire una Moschea proprio lì: “Il punto è che dobbiamo smettere di piegarci alla volontà altrui. In certe aree del nostro paese abbiamo perso la spina dorsale. Abbiamo fatto troppe concessioni“. Quindi, l’idea: in occasione dell’anniversario dell’attentato di nove anni fa, Jones utilizzerà il simbolismo per mettere in chiaro il proprio pensiero e quello di molti americani: gli basteranno un Corano e un accendino per bruciare il libro Sacro.

Marea nera: Louisiana, esplode piattaforma. Torna l’incubo Bp, la Guardia Costiera tranquillizza

La paura di poter rivivere nell’incubo della DeepWater Horizon (falla tappata lo scorso 4 agosto)è arrivata in un istante: il tempo che si diffondesse la notizia che lungo Vermilion Bay, in Louisiana, è esplosa un’altra piattaforma petrolifera. Stessa area – il Golfo del Messico – ma, in realtà, esito differente: a tranquillizzare opinione pubblica, società civile e Istituzioni ci pensa la Guardia Costiera che afferma: “Le fiamme sono spente e non ci sono perdite di petrolio“.

Ancora fresche le parole di commemorazione del Presidente Barack Obama in richiamo all’uragano Katrina che si abbattè nello Stato un lustro fa, 80 miglia a sud di Vermilion Bay, ore 9 americane, piattaforma Vermilion Oil 380, il dejavù: dopo il botto, ci si attende la conta dei morti, invece si attestano solo feriti (tredici, nulla a che vedere con gli undici morti di quasi cinque mesi fa) che gli elicotteri hanno tratto in salvo dopo la caduta in acqua. Un solo ricovero, stando alle fonti ufficiose non smentite ma neppure confermate, presso il Terrebonne General Medical Center di Houma.

Obama agli Usa: “Iraq, war is over” VIDEO. Ma in Afghanistan è terrore

La guerra è finita: le truppe americane lasciano l’Iraq e il Presidente a stelle e strisce, Barack Obama, annuncia alla Nazione di aver mantenuto la promessa. La guerra è finita: non una coda ad libitum di qualche canzone (da John Lennon ai Baustelle, scorrono generazioni di artisti che hanno musicato una frase di tale contenuto) ma il proclama dell’uomo della speranza nel momento in cui le case degli americani hanno ospitato l’intervento di Obama dallo Studio Ovale della Casa Bianca.

L’incipit: “L’Operazione Iraqi Freedom è chiusa. Da questo momento sono gli iracheni ad avere la responsabilità della sicurezza del loro paese. Questo fu il mio impegno da candidato. Dissi che avrei ritirato tutte le truppe da combattimento e l’ho fatto. Quasi centomila dei nostri soldati hanno lasciato l’Iraq“. Senza dimenticare le vittime di sette anni di conflitto inaugurato dall’amministrazione George Bush jr.: i morti statunitensi sono 4.427, tra feriti e mutilati restano coinvolti altri 34.000 soldati.

Non usa toni autocelebrativi nè evidenzia tutta la voglia di pace che aveva mostrato nel corso della campagna elettorale: un Obama pacato e serio, nessun trionfalismo ma la constatazione oggettiva dei dati di fatto: “Non si celebrano vittorie. Gli Stati Uniti hanno pagato, in vite umane e in risorse economiche, un prezzo altissimo per mettere il futuro dell’Iraq nelle mani del suo popolo, dare un nuovo inizio a questa culla della civiltà umana. Dopo un capitolo eccezionale nella storia, abbiamo assolto la nostra responsabilità, adesso è tempo di voltare pagina“.

Repubblicane sexy, democratiche come cani: quando l’America esporta – male – il made in Italy

Quelle come Mara Carfagna: belle, giovani. La politica, in Italia, ha cominciato ad avere, soprattutto negli ultimi tempi, anche e sempre più i connotati e le caratteristiche fisiche del Ministro per le pari opportunità. Giovani, si diceva. Belle da spaccare lo schermo, incantare lo sguardo. Poi, per carità, dietro tale grazia occorrerebbe forse dimostrare di avere un cervello.

Chi ci riesce, chi ci prova, chi nemmeno si sforza. Tanto, prerogativa essenziale rimane sempre e solo quella: essere giovani. Essere belle. Sembrava regola tacita di parte della politica tricolore ma pare che tra un chilo di pasta Barilla e un tubo di Baci Perugina lo stivale abbia cominciato a esportare anche tale prassi. Ovvero, battersi in agoni, una parte contro l’altra. Solo che.

A consentire l’accumulo di frecce nell’arco non sembrano più essere le conoscenze specifiche, la preparazione settoriale, la lungimiranza. Macchè. Semmai: cosce, natiche, seni, corpo nel suo insieme, viso e bocca. Ci si sfida a duello nel nome della bellezza, provando a convincere l’elettore che tanto possa bastare per governare e amministrare la cosa pubblica. pensavamo che fosse peculiarità italiana e invece. Pigli un aereo, ti ritrovi in America e scopri che nel Minnesota la politica viene costruita allo stesso identico modo: a colpi di trucco, abiti succinti, curve mozzafiato.

Obama – Moschea Ground Zero: “La causa di Al Qaeda non è l’Islam”. Cos’è Cordoba House

Casa Cordoba, casa dell’Islam, casa con cuore pulsante – sulla carta – da edificare nel cuore – sibolico, economico – dell’America. Dentro l’America, New York, dentro New York Ground Zero, dentro Ground Zero l’11 settembre. Nell’11 settembre 2001, le ceneri di un disastro terroristico epocale rivendicato da Al Qaeda: attentati capaci di fornire chiavi di lettura ambivalente, di spaccare opinione pubblica e frange politiche.

Da lì, la guerra al fanatismo ha interessato non solo il governo degli Stati Uniti ma anche quelli del mondo Occidentale, impegnati in una strenua azione di contenimento ed estrapolazione del “male”. Che, tuttavia, non è la religione: lo ha ribadito in queste ore il Presidente Usa, Barack Obama, intervenuto davanti ad alcuni rappresentanti della comunità musulmana, appena prima di una cena alla Casa Bianca per celebrare l’inizio del Ramadam, aprendo ufficialmente alla realizzazione di una moschea nel cuore pulsante di New York:

In quanto cittadino, in quanto presidente, credo che i musulmani abbiano lo stesso diritto di chiunque altro in questo Paese di praticare la loro religione. Questo include il diritto di costruire un luogo di culto e un centro di una comunità in una proprietà privata di South Manhattan“.

Poco importa, ribadisce Obama, se a leggere i dati che riportano all’11 settembre, uno ci trovi che l’attentato sia da ricondursi a un’organizzazione fondamentalista islamica:

Siamo negli Stati Uniti e il nostro impegno a favore della libertà di culto deve essere inalterabile. Il principio secondo il quale i popoli di tutte le fedi siano i benvenuti in questo Paese e quello secondo il quale  non saranno trattati in modo diverso dal loro governo è essenziale per essere quello che siamo“.

Che a esporsi sia il Presidente degli Stati Uniti, pare legittimo ma alcuni più strenui oppositori di Obama – in primis, la destra conservatrice – colgono l’occasione per ribadire che “Barach Hussein Obama” non sia nato in America, che sia musulmano egli stesso. Sospetti che resteranno in essere fintanto che lui – Barack Obama – farà parte della vita politica americana: poco importa se il ragionamento che sta alla base sia figlio dei dettami sfornati dalla Costituzione a stelle e strisce (il primo emendamento garantisce la libertà di culto).

Cuba, Fidel Castro in Parlamento: “Obama, dì no alla guerra nucleare”

Il ritorno in Parlamento di Fidel Castro è coinciso con un discorso di soli 16 minuti: un’inezia, per una Cuba abituata ad ascoltare gli interventi fiume (oltre le cinque ore di prassi) del Lider Maximo. Solito abbigliamento tinto di verde militare, barba bianca e volto visibilmente tirato, Castro si è avvalso dell’assistenza di alcuni aiutanti e si è presentato ai 610 deputati in compagnia del fratello Raul (a cui, dal 2006, Fidel ha trasmesso ciascuno degli incarici Istituzionali meno quello di segretario del Partito comunista: dallo stesso anno, Fidel non teneva un discorso in Parlamento).

Nello specifico, L’Avana è stato proscenio richiesto dallo stesso Fidel per discutere straordinariamente dell’eventualità di una guerra nucleare a seguito delle divergenze tra America del Nord, Iran e Corea del Nord. Dopo il boato di acclamazione al grido di “Viva Fidel“, il Lider ha preso la parola e immediatamente avvallato l’ipotesi che il conflitto medio orientale possa stimolare l’amministrazione americana a provocare un conflitto di entità e distruzione inimmaginabile.

Il nucleare è una minaccia ma, in tal senso, la figura di Barack Obama una sicurezza su cui investire perchè, rispeto ai predecessori, l’attuale Presidente Usa non annovera, tra i vizi, il cinismo:

Bp: “Static Kill” tappa il Macondo 106 giorni dopo l’esplosione della Deepwater Horizon

Stavolta, dopo oltre tre mesi di vani tentativi, la British Petroleum sembra essere riuscita a chiudere il pozzo sottomarino Macondo (1500 metri di profondità): dopo 106 giorni di prove disperate, sperimentazioni, alta ingegneria, i tecnici della Bp hanno raggiunto l’obiettivo con l’operazione cosiddetta “Static Kill” che è durata anche meno rispetto alle previsioni (si parlava di 60 ore di lavoro ininterrotto, a conti fatti ne sono state risparmiate – di quelle – un bel po’).

Nello specifico, è stato iniettato in profondità un miscuglio di cemento e fango capace di spingere il petrolio nel bacino sottostante, un deposito 4mila metri sotto la superficie marina. A questo punto, la marea nera (i cui danni restano ovviamente macroscopici) pare arginata e dovrebbero proseguire le operazioni di monitoraggio.

A renderlo noto, referenti della stessa Bp: “Il pozzo viene sorvegliato, secondo la procedura, per assicurare che la pressione resti stabile; in base ai risultati di questo controllo si capirà se saranno necessarie nuove iniezioni di fango o meno“.

Guerra Usa – Iraq/Afghanistan: ogni vittima americana vale 200 milioni di dollari

Le passeggiate di salute, solitamente, le si fa con altro abbigliamento, in ben altri contesti, per differenti motivi. Quindi, la sfilza di dati – da capogiro, ovvio – che va a descrivere il conflitto in corso tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan non racconta nulla che non si potesse già immaginare. Detto ciò, è in ogni caso incontrovertibile che la guerra suddetta sia passata alla storia come la più costosa (rapporto costi/vittime) mai sostenuta dal Governo a stelle e strisce: dall’invasione dell’Iraq all’inizio del mese di luglio, infatti, si è raggiunta la faraonica cifra di mille miliardi di dollari utilizzati dalle varie amministrazioni (che poi sono due: quella di Bush e l’attuale di Obama) statunitensi.

Finanziaria 2010, il Senato approva; in Usa passa la riforma voluta da Obama

tremonti marrazzo

Appuntamento congiunto, lo detta la tempistica, rispetto a tematiche tra loro affini: in Italia il Senato ha approvato la manovra Finanziaria 2010; negli Stati Uniti ci si è pronunciati a favore di una delle riforme più caldeggiate dall’amministrazione democratica, quella della Finanza. Per Silvio Berlusconi e Barack Obama, quindi, il primo step è archiviato e si attende la conseguenziale prosecuzione dell’iter (che in Italia significa passaggio alla Camera, in Usa marchio finale del Presidente) per arrivare alla definitiva accettazione in un caso del prospetto economico e finanziario, nell’altro dei regolamenti innovativi che incidono sul funzionamento di Wall Street.

New York Times: papa Benedetto XVI occultò caso pedofilia

benedetto_xviSecondo il New York Times on line, nel 1996 Joseph Ratzinger e Tarcisio Bertone, allora entrambi cardinali, nascosero un caso di pedofilia negli Stati Uniti, che riguardava un reverendo Joseph Murphy, accusato di aver abusato di almeno 200 bambini sordi in una scuola del Wisconsin. Il sacerdote americano è deceduto nel 1998 e aveva lavorato nell’istituto dal 1950 al 1977.

Nel 1996 l’attuale papa Benedetto XVI, allora capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, non rispose a due missive inviategli dall’arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland, mentre otto mesi più tardi il suo numero due, il cardinale Tarcisio Bertone, attualmente segretario di stato Vaticano, organizzò un processo canonico segreto con i vescovi del Wisconsin che avrebbe potuto portare all’allontanamento di padre Murphy.

Google: università cinese dietro attacchi

googleGli attacchi informatici a Google e a diverse aziende americane sono partiti dai computer di due università d’elite cinesi. Lo rivela il sito Internet del New York Times, secondo cui l’intento era quello di rubare segreti commerciali, codici di computer e mail delle organizzazioni cinesi che si occupano di diritti umani. Google ha denunciato le prime “intrusioni” a gennaio, ma gli inquirenti sospettano che le attività illecite siano iniziate ad aprile. Gli istituti coinvolti sono l’Università di Shanghai Jiaotong e la Lanxiang Vocational School.

La prima è considerata una delle facoltà di maggiore prestigio in materia di scienze informatiche. I suoi studenti pochi anni fa parteciparono a una competizione internazionale di programmazione organizzata dalla Ibm, sconfiggendo in una “battaglia tra cervelli” le brillanti menti di Stanford e di altre università americane.

La seconda è una scuola di specializzazione nata per volontà dell’esercito e prepara ingegneri informatici per conto delle Forze Armate.