PdL, Futuro e Libertà, Pd: da Cicchitto a Bersani passando per Bocchino. Altre frecciate

Denis Verdini, Fabrizio Cicchitto, Ignazio La Russa, Italo Bocchino, Pier Luigi Bersani. Da cornice: pagine di giornali, località vacanziere (ultimi giorni di ferie prima della ripresa dei lavori parlamentari), meeting di Rimini organizzato da Comunione e Liberazione. Tema dibattuto da ciascuno, la tenuta del Governo con tesi che non si somigliano affatto. A scatenare per l’ennesima volta in pochi giorni il segretario del Pd, in visita a sorpresa presso il convegno Ciellino, è il solito botta e risposta tra quelli che da un po’ di tempo vengono appellati “berlusconiani” e “finiani”.

Esponenti del Popolo delle Libertà e del gruppo Futuro e Libertà: si è detto di una convergenza scontata sui cinque punti utili a tenere in piedi il Governo e rispettare il programma con gli elettori ma sono ancora di oggi polemiche e strascichi tra gli ex alleati. Parte Fabrizio Cicchitto che, dopo l’annunciata convocazione dei finiani a rapporto dai coordinatori PdL per valutare l’opportunità e la compatibilità con gli incarichi ricoperti nel partito, aveva ribadito: “Nella storia politica del Paese non è mai esistito un partito con due gruppi parlamentari. Se si vuole che, in attesa di un chiarimento globale, venga per tutta una fase in un certo senso sospeso lo statuto, la risposta non può non essere affidata alla politica. Di qui al mese di settembre i finiani ci devono dire se sui 5 punti proposti da Berlusconi, fra i quali c’è anche la riforma della giustizia, c’è il loro impegno positivo ai vari livelli politico-parlamentari su cui si svolgerà il confronto, oppure se essi si attesteranno su formule negative o ambigue volte rispettivamente alla caduta o al logoramento del governo Berlusconi“.

Reggio Calabria, la ‘ndrangheta attacca lo Stato: bomba per Salvatore Di Landro

Sembrava durare la stagione della tregua, nel corso della quale la criminalità organizzata si limitava ad esistere e curare in maniera attiva affari e traffici illegali ma quanto accaduto nella notte a Reggio Calabria potrebbe scompigliare lo scenario. Eppure, in tale contesto, la ‘ndrangheta non ha mai smesso di farsi sentire e torna a farlo con violenza: nuovo attacco allo Stato attraverso una bomba contro la casa del Procuratore di Reggio Calabria Salvatore Di Landro.

Le cosche lanciano un segnale inequivocabile facendo esplodere l’ordigno in una zona centrale della città (nessun ferito): è accaduto poco prima delle 2, l’ordigno ha divelto il portone d’ingresso, devastato l’atrio e procurato danni ad abitazioni limitrofe. Che l’obiettivo fosse Di Landro, nessun dubbio: è lo stesso magistrato a ribadire che il crimine si fa minaccioso nei confronti di chi compie il proprio dovere. “Contro di me – dichiara in mattinata – a partire dall’attentato a gennaio contro la Procura generale, c’é stata una tensione malevola e delittuosa crescente, da parte della criminalità organizzata, che si è personalizzata. Vogliono farmela pagare, evidentemente, per il fatto che ho sempre ed in ogni circostanza fatto il mio dovere di magistrato“.

Era in casa con sua moglie e al momento dell’esplosione (bomba confezionata molto probabilmente con del tritolo e innescata probabilmente da una miccia a lenta combustione) ha temuto per la vita: immediato l’arrivo delle forze dell’ordine, ivi compresi il procuratore aggiunto Nicola Gratteri e il questore di Reggio Calabria Carmelo Casabona. Non si sono fatte attendere neppure le prime dichiarazioni di solidarietà e fermezza nella lotta al crimine da parte delle figure istituzionalmente più autorevoli.

Bocchino: “Fini, UdC, Api e Pd al Governo”. Cicchitto: “Che film è?”

Ormai il sito di Generazione Italia è diventato un quotidiano di partito: la voce di Futuro e Libertà passa attraverso il portale di chiara area finiana che si trasforma in cassa di rinonanza nel quale parli a suocera perchè nuora intenda. Nello specifico, è Italo Bocchino, capogruppo parlamentare di Fli, a replicare nuovamente a Silvio Berlusconi e alla crisi in auge al Governo. Per uno dei finiani più convinti, oramai il Premier ha poca scelta: l’unico modo per continuare a governare è quello di optare per un esecutivo composto da larghe intese partitiche. Provocazione, ennesimo botta e risposta, folgorazione?

L’unica strada che ha (Berlusconi, ndr) è appellarsi al Parlamento come gli ha consigliato Casini per varare un nuovo governo con un profilo alto e riformatore e una maggioranza più ampia, costruendo una nuova coalizione che comprenda i partiti di Fini, Casini e Rutelli e i moderati del Pd ormai delusi“.

Futuro e Libertà al PdL: “La vittoria di Fini”

Al termine del vertice tra i principali referenti del Popolo della Libertà, a cantare vittoria è stato il gruppo parlamentare Futuro e Libertà. I deputati vicini al Presidente della Camera, Gianfranco Fini, hanno infatti dichiarato che dietro il documento programmatico emesso dal PdL al fine di individuare una convergenza politica che allontani una spaccatura e le conseguenti elezioni anticipate, c’è in realtà una lineare presa d’atto delle istanze espresse in più di una circostanza dai finiani.

Come dire: Silvio Berlusconi chiede a Fini quel che la terza carica istituzionale ha sempre preteso, il rispetto del programma elettorale. Anche se, in verità, qualcosa di più rispetto a quanto indicato in quello, c’è. A evidenziare la situazione simil paradossale ci pensano i tre referenti più intransigenti di Fli.

No-Berlusconi Day 2, il popolo viola in piazza a ottobre

La replica del No-B Day, manifestazione per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi e dell’esecutivo dallo stesso presieduto che si è svolta a Piazza San Giovanni (Roma) lo scorso 5 dicembre 2009, potrebbe arrivare entro l’autunno: colorati di viola (colore che identifica gli aderenti), migliaia di persone invasero allora le vie della Capitale dietro a uno striscione dove campeggiava la scritta: “Berlusconi dimissioni“.

Numerosi, in quella circostanza, gli interventi di personalità illustri: da Salvatore Borsellino (fratello di Paolo) a Moni Ovadia, da Ascanio Celestini a Dario Fo e Franca Rame, da Fiorella Mannoia al magistrato Domenico Gallo con chiusura affidata a Roberto Vecchioni, cimentatosi in un concerto. L’evento nacque in seguito a un tam tam in rete: i social network riuscirono, nella circostanza, a farsi strumento necessario per i promotori (organizzazioni e società civile) al fine di convocare a raccolta la popolazione. E’ stato uno dei primi cortei nato spontaneamente dal basso: poi, per carità, vi si infilarono anche partiti ed esponenti politici garantendo la propria adesione.

Fini e il nuovo partito

Ho intervistato in questi giorni Enzo Palmesano per un’intervista che verrà trasmessa a breve su Current Tv. Abbiamo chiaccherato a lungo della situazione politica in scena in Italia in questo agosto 2010 così strano. Lui ci ha raccontato del suo libro uscito ad aprile (Gianfranco Fini – Sfida a Berlusconi di Aliberti), cominciato a scrivere in tempi non sospetti: la rottura era certo nell’aria, e il percorso che ha poi portato al 22 aprile 2010, con il botta e risposta mediatico di Fini e Berlusconi (il leggendario “Che fai, mi cacci?), ma il libro aveva intravisto il Tullianismo e il percorso politico finiano già prima che si concretizzasse in questi scenari di oggi.

Oggi Enzo ipotizza e analizza: «Se davvero Gianfranco Fini lanciasse il suo nuovo partito anti-berlusconiano dalla festa di Mirabello, prevista a settembre, correrebbe il rischio di evocare l’investitura di Giorgio Almirante che appunto a Mirabello indicò l’attuale presidente della Camera come proprio delfino per la poltrona di segretario del MSI-DN e quindi di leader del continuismo neofascista. Si tratterebbe di un passaggio delicato che, sul piano simbolico, potrebbe far sospettare un ritorno all’almirantismo, che è stato la declinazione del fascismo nella mutata stagione della Repubblica nata dopo la seconda guerra mondiale». Fabio Granata ha lanciato ufficialmente la nascita di una nuova forza politica intorno a Gianfranco Fini.

Morte Cossiga, dolore e cordoglio bipartisan

L’ultimo saluto a Francesco Cossiga è una visita alla Camera ardente in cui si registra un viavai infinito di volti noti e persone appartenenti alla società civile. Un attestato di stima, rispetto e riconoscenza evidentemente bipartisan ancorchè svincolato dalla spiccia differenziazione partitica: il Presidente emerito ha lasciato quattro missive alle principali figure istituzionali dello Stato (Giorgio Napolitano, Renato Schifani, Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi) chiedendo funerali in forma privata: l’aggravarsi dell’infezione polmonare non gli ha dato scampo, le esequie si terranno nel Sassarese giovedì 19 agosto. Numerose le testimonianze nei confronti di una delle figure politiche di maggiore spessore della storia contemporanea.
Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano: “Uno statista di spiritualità cristiana“.
Il presidente dell’Unione europea, Herman Van Rompuy: “Un politico rispettato da tutti che ha speso la maggior parte della sua vita al servizio del suo Paese e del popolo italiano“.
Papa Benedetto XVI ha inviato un telegramma alla famiglia: “Sono spiritualmente vicino in questo momento di dolore, porgo le più sentite condoglianze e assicuro sincera partecipazione al grave lutto che colpisce anche l’intera nazione italiana. Ricordo con affetto e gratitudine questo illustre uomo cattolico di Stato, insigne studioso del diritto e della spiritualità cristiana che nelle pubbliche responsabilità ricoperte seppe adoperarsi con generoso impegno per la promozione del bene comune“.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “E’ un piccolo omaggio ad un grande uomo di Stato, ho salutato un amico“.

Addio al picconatore

E’ morto un pezzo della storia d’Italia. Qualunque cosa si dica e si pensi di lui, un fatto è chiaro, pacifico, evidente. E mette d’accordo tutti, più o meno esplicitamente. Come mai il presidente emerito ha fatto (e ha voluto fare) in tutta la sua carriera politica fuori dall’ordinario.

Francesco Cossiga porta oggi con sè, in una tomba che vuole dire eternità, i suoi segreti. Che sono quelli di questo paese da più di mezzo secolo. In Italia, in fondo, si è abituati a pensare che funzioni sempre così. Che non possa e in fondo non debba essere altrimenti. Chissà che questo, nel profondo, non ci diverta anche un po’. Nello Stivale, i Misteri d’Italia (titolo della bella trasmissione di Carlo Lucarelli) fanno parte di noi. Della nostra cultura, della nostra formazione. E forse ne siamo anche un po’ gelosi.

Sfiducia Caliendo: mozione respinta con 299 voti contrari

La mozione di sfiducia nei confronti di Giacomo Caliendo viene respinta con 299 voti contrari.
Alfano:
“P3 figlia di Pm e sinistra”. Di Pietro: “Fatto politico”. FL e UdC si astengono. Franceschini: “Berlusconi è solo”. Cicchitto: “Non diamo la testa di Caliendo”. Rissa PdL-finiani. Coro da stadio: “Silvio, Silvio”.

IL RESOCONTO DELLA GIORNATA
La conferenza dei capigruppo a Montecitorio ha optato per discutere mercoledì 4 agosto, con inizio alle 17, la mozione di sfiducia a Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia coinvolto nell’inchiesta della cosidetta P3, avanzata da Pd e Italia dei Valori. Il voto è previsto per le 17, Caliendo non dovrebbe avere alcun problema a passare incolume la prova del Parlamento perchè, seppure con una maggioranza non assoluta, la mozione stessa sarà respinta. A votare contro, la maggioranza parlamentare e i membri di Governo del neonato gruppo Futuro e Libertà mentre i deputati dello stesso schieramento si asterrano come pure l’Udc e L’Api. Il voto a favore dei firmatari non sarà sufficiente a sfiduciare il sottosegretario a cui Silvio Berlusconi ha già rinnovato la propria fiducia: “Resta dove sei“.
LA MOZIONE. Presentata lo scorso 14 luglio dal Partito Democratico e dall’Italia dei Valori in merito all’inchiesta sulla “lobby” P3 dalle cui intercettazioni al vaglio della magistratura è emerso in più di una circostanza il coinvolgimento di Giacomo Caliendo, indagato per associazione segreta.
[…]
Ore 11.45. Rese note le parole pronunciate nella serata di ieri da Silvio Berlusconi nel corso di una cena con le deputate del Pdl: “L’astenensione è una scelta senza senso, un grave errore politico. O si vota la sfiducia a Caliendo e non si capisce il motivo, oppure se si sostiene il governo si vota la fiducia e basta. Il governo non cadrà: non si cade su una questione che non riguarda il programma. E’ sul piano di governo che ci sarà un confronto aperto“.
[…]
Riusciamo ad anticipare il più probabile scenario cui si assisterà alla Camera dei Deputati in occasione del voto. Stando ai numeri e alle dichiarazioni delle ore precedenti, questo è quanto dovrebbe accadere.

FAVOREVOLI ALLA SFIDUCIA A CALIENDO
Partito Democratico (firmatario della mozione di sfiducia)
Voti 206

Italia dei Valori (firmatario della mozione di sfiducia)
Voti 24

Altri
Voti 5

Totale voti favorevoli 235

CONTRARI ALLA SFIDUCIA A CALIENDO
Popolo delle Libertà (partito di cui fa parte Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia)
Voti 237

Lega Nord
Voti 59

Altri
Voti 10

Totale voti contrari 306

VERSO L’ASTENSIONE

Futuro e Libertà
Voti 33

Udc
Voti 39

Alleanza per l’Italia
Voti 8

Movimento per l’Autonomia
voti 5

Liberal Democratici
Voti 4

Totale voti di astensione 89

Maggioranza assoluta alla Camera
(ovvero il 50%+1): voti 316
Quorum necessario tenendo conto degli astenuti: voti 271

Politicalive.com SEGUE L’EVENTO IN DIRETTA WEB:

MoVimento 5 Stelle: programma. Grillo: “Nè Di Pietro nè Vendola”

Beppe Grillo non si presenterà mai – quale candidato – a nessuna elezione perchè lui, dice, sarà sempre il megafono del Movimento 5 Stelle cui il resto della classe politica dovrà abituarsi, tanto il partito è radicato – di già – nella società. Lo dicono i numeri: 500 mila voti finora ottenuti a fronte di una spesa misera. 40 mila euro per la campagna elettorale: i grillini utilizzano mezzi e strumenti tecnologici – internet, soprattutto – e concretizzano i propri sforzi attraverso il tam tam. Il passaparola.

Continuerà a essere così – avverte il comico genovese – perchè non abbiamo mai chiesto nè chiederemo rimborsi elettorali: sono un furto allo Stato. Se la politica rinuncia ai soldi, rifiorisce. E noi vogliamo che torni a essere bella“. Il messaggio è lanciato, chi doveva ascoltare – e preoccuparsi – lo faccia: da ora in avanti, ogni appuntamento elettorale sarà utile per misurare la forza delle idee e dell’attivismo degli iscritti. Siano esse politiche, provinciali o comunali: il Movimento 5 Stelle ci sarà, con candidati appositamente selezionati attraverso il web seguendo i criteri di sempre.

Che tengono conto, in primo luogo, della pulizia “morale” del prescelto. Niente sedi, nessun tesoriere, senza segretario. Tra qualche giorno verrà messa on line la piattaforma del movimento: da lì alla stesura del programma, un attimo. A colpio di click e passi di mouse. I cardini del Movimento sono ovviamente capisaldi acquisiti e da cui porre le basi: via i condannati dal Parlamento, non più di due mandati per candidato, nuova legge elettorale, abolizione della legge Gasparri, utilizzo delle energie rinnovabili, conservazione dell’acqua quale bene pubblico. Tutto il resto lo si scriverà a migliaia di mani, miliardi di neuroni.

Talk show Rai in ferie, la crisi di Governo affidata ai tiggì

Gianfranco Fini che si separa da Silvio Berlusconi ha il peso politico (lo dicono i numeri) di una crisi in corso ma, nonostante le difficoltà – presunte e probabili – in cui potrebbe incappare il Governo richiedano di fatto una informazione assai più completa e dettagliata (in gioco, gli equilibri e la tenuta dell’esecutivo dopo la migrazione di parte del Popolo delle Libertà in Futuro e Libertà), la Rai decide di non optare per la rivisitazione dei palinsesti al fine di includere i talk show politici.

I vertici dirigenziali hanno deciso che saranno solo i tiggì a garantire le informazioni necessarie: è quanto emerso dopo l’incontro odierno tra il direttore generale Mauro Masi e i direttori di telegiornali e giornali radio. La decisione preclude di fatto il ripristino anticipato di programmi di informazione quali Ballarò, Porta a Porta e compagnia bella: “informazione aperta per ferie”, dalle parti di viale Mazzini, significa a conti fatti che i direttori delle testate, a seconda della necessità, potranno chiedere ampliamenti degli spazi previsti e, se necessario, anche variazioni di orario nei palinsesti.

Ddl intercettazioni: Berlusconi cede, Fini al secondo scacco al Re

fini berlusconi

Non è roba da poco: a conti fatti, il Bavaglio alla Legge è stato tolto, il Presidente del Consiglio incassa una sconfitta politica che ha un sapore particolare e la corrente finiana mette a segno il secondo bottino pieno consecutivo. Il primo: le dimissioni di Nicola Cosentino dall’incarico istituzionale. Il secondo: dentro gli emendamenti al decreto di legge sulle intercettazioni.

Cambia tutto: l’obbligo del segreto per le intercettazioni “cade” ogniqualvolta ne sia stata valutata la rilevanza. Nella sostanza, “rilevante diventa l’aggettivo chiave della svolta. A Berlusconi non resta altro che incassare il colpo, fare marcia indietro, constatare quel che non avrebbe mai creduto e che – a conti fatti – si sta avverando. Giorno dopo giorno. La presenza del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, all’interno della maggioranza fino a qualche mese fa contava molto. Poi ha iniziato solo a pesare. Fino a diventare, giorni attuali, un macigno. Il Premier ha firmato la legge così come impostata da Giulia Bongiorno.

Nonostante le settimane di mediazione, il tentativo di un punto di incontro che potesse accontentare gli uni e gli altri. In realtà, quel punto di incontro non è mai esistito, alla conciliazione non ci si è mai arrivati: Fini è stato intransigente, Berlusconi non voleva mollare niente. La partita tra legali ha visto al lavoro il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a cui Berlusconi aveva lasciato piena delega. Una sorta di “Va’, Angelino, e portami i frutti del lavoro”. Solo che Alfano, più di quanto fatto, non avrebbe potuto dare. Perchè il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non avrebbe mai firmato la legge così come erea stata formulata dal Governo. Perchè quegli altri – adagiati sulle spalle della Bongiorno – non hanno mollato di un’unghia. Non si è trattato di mediazione, occorreva solo attendere il primo che avesse ceduto.

Legge Bavaglio, dal Governo prime modifiche. Rinvio a settembre?

giulia-bongiorno

L’annuncio del rinvio dei lavori della Commissione Giustizia è stato dato in mattinata da Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia: il ddl sulle intercettazioni – provvedimento meglio noto come Legge Bavaglio – subisce l’ennesimo intoppo per mancanza di tempo utile. La Commissione avrebbe dovuto esaminare gli emendamenti avanzati da maggioranza e opposizione (la bellezza di 600) ma a una manciata di lancette dall’inizio, il proclama. “Ci serve maggiore tempo per scrivere un nuovo emendamento, che tenga conto non solo dei rilievi della maggioranza e dei finiani ma anche dell’opposizione. Non e’ semplice“. La constatazione immediata – e inevitabile – porta a dire che l’accordo tra le parti in causa – cui tocca tenere anche conto delle osservazioni fatte dal Presidente della Repubblica – è quantomeno complicato. Anche se.

E’ morta Eleonora Chiavarelli, la moglie di Aldo Moro. “Sulla vita e sulla morte di mio marito giudicherà la storia”

eleonora-moro

Lottò contro i poteri forti e gli uomini di comando della Dc per la libertà del marito. “Se solo fossero stati modestamente intelligenti avrebbero capito che al potere non si arriva mai attraverso il delitto

E’ morta oggi un altro pezzo di storia della politica italiana. Eleonora Moro, vedova di Aldo Moro, lo statista democristiano che fu ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio del 1978, aveva quasi 95 anni. I funerali si sono svolti questo pomeriggio a Torrita Tiberina, il paese dove è sepolto il marito e leader democristiano. Sarà sepolta accanto all’uomo che ha provato a salvare sino all’ultimo. La donna è venuta a mancare nella sua abitazione romana, chiudendo una storia poco conosciuta ai tanti giornalisti-paparazzi del gossip-politico italiano, ma che era invece molto profonda e intensa tra i due.

aldo-moro-rapimentoDopo l’agguato del 16 marzo 1978,
il giorno in cui doveva avvenire la presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Aldo Moro dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale zona Monte Mario di Roma alla Camera dei deputati, fu bloccata da un commando delle Brigate Rosse all’incrocio tra via Mario Fani e Via Stresa. In pochi secondi, i terroristi uccisero tutti i 5 uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. La signora Moro, da sempre donna riservata e decisa, pur di riuscire nella titanica impresa di salvare la vita del marito, cominciò a bussare a tutte le porte della politica, del Vaticano, delle Istituzioni tutte, senza mai arrendersi. La sua rigorosa  fermezza fu tra i motivi che convinse perfino il pontefice Paolo VI, a scrivere una lettera commovente “agli uomini delle Brigate rosse”. Uno spiraglio, seppur piccolissimo di speranza e di salvezza, la signora Moro pensò di averlo trovatoo anche nella posizione che prese il leader socialista Bettino Craxi, uno dei pochi all’epoca dei fatti che voleva percorrere la via della trattativa.