Rassegna Critica – Vengo dopo il Tiggì (ma prima di Bush)

Arriva Giorgio Passeggiatore Bush, quindi. Ma come sta vivendo l’Italia l’ultimo viaggio da Presidente e da uomo più potente del mondo (per quanto, attualmente, probabilmente anche il più impopolare) di George W. Bush?
I Tg nazionali sono pro o contro il suddetto? Posto che non dovrebbero essere nè l’uno nè l’altro. Posto che dovrebbero riportare i fatti e non altro, e aiutare l’utente, anzi, il telespettatore, che rispetto all’utente web è per alcuni versi meno smaliziato, a comprendere le storie.
Cominciamo con l’odierna edizione del Tg1. Ecco i titoli.

Bush sta arrivando



Salve, Mr. President! Addio, Mr. President. Roma, per 48 ore sarà, eufemisticamente, blindata. Con tanto di ceecchini sui tetti. Arriva Mr. President. Il dispiegamento di forze – è la sua ultima visita in Europa da uomo più potente, e più impopolare, del mondo?


Migliaia di uomini delle forze dell’ordine mobilitate: 10 mila tra poliziotti, carabinieri e agenti dell’antiterrorismo. La Capitale? Interdetta per intere zone. ”Coni d’ombra” per i telefonini. Ma la cosa più divertente è il dispiegamento persino dell’AMA, azienda netturbina e non solo di Roma, in prima linea e pronta a cancellare tutto quello che di anti-Bush comparirà – è già succeesso – sui muri comunicativi dell’Urbe.


Europa Militare. Beppe Grillo, Mentana e gli Americani

Giorni addietro Beppe Grillo richiamava alla memoria dell’Italia sopita, sul suo blog, l’occupazione americana su territorio italiano. Ne parlava Mentana a Matrix il 6 maggio. RaiNews24, oggi, a Macro Sfera, tratta proprio l’esplosiva faccenda.
Quanti soldatini americani circolano su territorio italico? Durante la Guerra Fredda erano circa 450.000, i soldati americani presenti qui. Ora hanno una funzione di appoggio, di retrovia, e sono nettamente diminuiti.
Le basi? In Germania, paese – sapete com’è, la storia, a più forte presenza militare statunitense – ci sono 670 chilometri quadrati di basi. In Italia 7, ufficialmente. Beppe Grillo dà un numero differente: dice 113.

Il Papa accoglie l’Italia

Parlare del Papa che accoglie l’Italia fa sempre un po’specie, più che altro perchè il suo piccolo stato, il Vaticano, si ritaglia qualche metro quadrato all’interno dell’Urbe. Eppure l’incontro di stamattina tra Benedetto XVI e Silvio Berlusconi ha portato, a mio parere, molti aspetti positivi.

L’incontro della durata di 40 minuti circa all’interno della biblioteca del pontefice, ha visto diversi argomenti trattati. Discussioni che trattavano i temi a cui oggi il nostro paese è più sensibile e dove, nei giorni scorsi, spesso si è ritrovato opposta la Chiesa, come ad esempio su argomenti come clandestinità e immigrazione.

Per costituzionalità il nostro paese è laico, ma il fascino e il potere che le parole del Papa lasciano, soprattutto a questo governo di centro (in fondo non gloriamo tutti il Veltrusconismo?), portano a una specie di influenza “cattolica”.

Influenza che si denota anche dalle parole del premier che ha spiegato:

L’attività del governo non può che compiacere il Papa e la sua Chiesa.

Speriamo che possa compiacergli anche la nuova normativa sulla clandestinità.

Dopo Amnesty, l’Onu. Sono solo frivolezze

Si scriveva, il 28 maggio, di Amnesty International e di quella parte del rapporto dedicata all’Italia. Grande attenzione era stata dedicata al Belpaese in quella vicina sede. Commento di un lettore all’articolo:

Se l’Italia è razzista cosa sono le società africane da anni dedite al massacro etnico reciproco? Andatelo a chiedere ai soloni di Amnesty, che non perdono mai occasione per dire frivolezze

Oggi è la Festa della Repubblica. Un italiano su tre non sa neppure perchè. E oggi giunge una SIGNORA condanna dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Louise Arbour all’Italia. Nonchè il Vaticano, nella sua criticabile interferenza continua nella vita politica dell’indipendente Italia, per la politica del governo italiano nei confronti degli immigrati clandestini. Solo che dell’ONU l’Italia fa parte.

Amnesty International: l’Italia s’è desta. Razzista

Già non era dignitoso essere su basse performance nelle classifiche delle principali organizzazioni internazionali in difesa della libertà di espressione e stampa. Ora sbuca fuori anche il razzismo.
Paolo Pobbiati, Presidente Amnesty International:

Ogni anno facciamo questo rapporto. Il 2008 è anno particolare: cade il 60esimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. L’idea, allora, era quella di buttarsi alle spalle tutta una seria di orrori. In 60 anni sono stati fatti dei progressi: per noi, altamente insufficienti. Chiamiamo in causa soprattutto i Governi, la Comunità internazionale, gli Stati. I paesi più potenti a livello internazionale. Fanno scuola. Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Russa. Stati Uniti: Guantanamo, la tortura che loro non chiamano tortura, le deportazioni. C’è un’erosione del sistema dei diritti umani. La tortura: gli Stati Uniti la definiscono in maniera diversa. E questo abbassa gli standard in tutto il mondo.

Un corposo capitolo del suddetto rapporto Amnesty, il rapporto annuale sui Diritti umani, parla… dell’Italia.

Le difficili relazioni tra Italia e Libia: Il figlio di Gheddafi pone il veto su Calderoli

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La “questione” Calderoli nasce nel Febbraio 2006, quando l’allora Ministro delle Riforme, durante un intervista televisiva indossò una maglietta con su disegnata una vignetta anti-islamica, questa cosa scatenò l’ira del mondo islamico. In particolare in Libia, dei manifestanti dimostrarono di fronte la sede consolare italiana nella città di Bengasi e durante gli scontri con le forze dell’ordine, morirono 11 persone, la situazione allora imbarazzante provocò le dimissioni del Ministro Calderoli.
Oggi con la vittoria alle politiche del centro destra e con la candidatura di Calderoli nell’esecutivo, il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif Al Islam, dichiara che questa eventualità porterebbe a “conseguenze catastrofiche” nelle relazioni tra i due paesi. Il mondo politico italiano in maniera “bipartisan” si è stretto intorno all’esponente leghista.
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Un continente di sinistra

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Con la storica vittoria di Fernando Lugo alle elezioni politiche paraguayane sembra completarsi il percorso di rinnovamento che sta attraversando l’America latina ormai da alcuni anni. Un filo immaginario tiene legati oggi i governi di tutti gli stati del continente, o quasi. Ed è un filo rosso.
Fatte salve le eccezioni rappresentate da Guatemala e Colombia – con cui non a caso gli USA alimentano una politica di fervidi cambi commerciali – la sfida sudamericana è servita: Hugo Chavez in Venezuela, Cristina Fernandez Kirchner in Argentina, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, Ignacio Lula in Brasile, Michelle Bachelet in Cile, Tabaré Vázquez in Uruguay, Alan García in Perù. E da ieri in Paraguay, Fernando Lugo, un ex vescovo. Pur ostacolato e rinnegato dalla Chiesa di Roma, ma sempre un prelato.
Ultimo erede della storica tradizione facente capo alla cosiddetta Teologia della liberazione. Ossia quella riflessione, quella presa d’atto, che le gerarchie ecclesiali latinoamericane elaborarono verso la fine degli anni sessanta, nel momento di massima repressione del dissenso operata dalle dittature militari sudamericane.

Pechino val bene una messa

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Mai come nel caso delle Olimpiadi di Pechino della prossima estate, possiamo scorgere con chiarezza la sconfitta della politica e del dialogo.E la vittoria del mercato. E’ di questi giorni la diffusione, ormai annuale, del documento del Dipartimento di Stato americano in cui sono elencati i cosiddetti Paesi canaglia.
E a sorpresa, si direbbe in questi casi, non troviamo il nome della Repubblica Popolare Cinese. Corea del Nord, Birmania, Iran, Siria, Zimbabwe, Cuba, Bielorussia, Uzbekistan, Eritrea e Sudan. Stop. Cina non pervenuta. E tutto questo nonostante nel documento sia ribadito il concetto che

la Cina continua a negare alla sua popolazione diritti umani e libertà di base e continua a interferire nella attività dei media e a torturare i prigionieri. Malgrado la rapida crescita economica che ha trasformato gran parte della società cinese il governo di Pechino continua a negare ai suoi cittadini riforme politiche e il rispetto dei diritti umani di base

Decisione apparentemente inspiegabile. Risulta difficile immaginare motivi non economici per arrivare a questo silenzio sulla violazione dei diritti umani del governo comunista cinese da parte di chi, ancora oggi, lo considera una minaccia a tutti i livelli.
Meno uno, evidentemente.

L’informazione ai tempi del colera. Ah, no, sono le elezioni

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Mirko Tremaglia, istituzionale figura del voto degli italiani all’estero, ormai in là con gli anni, stanco ma presente, biascicante ma parlante. Tremaglia, insomma, l’unico nome che si ricordi collegato alle parole votoitalianiall’estero, è sorridente, contento, non si sbottona sulle candidature, meno che mai sui brogli che già stanno imperversando nella Circoscrizione Estero.
Dice di essere positivo per queste elezioni anticipate targate aprile 2008. Per il loro grado di partecipazione, che non sarà inesistente come qualche maligno va già dicendo, no. Tutto sarà assolutamente implementato verso il miglioramento.

Non è più possibile considerare gli italiani all’estero come una volta. Bisogna assolutamente dare maggiore visibilità a 3 milioni di italiani che meritano la nostra considerazione. Questa lenta ma inesorabile opera di cancellazione dai nostri media, ad esclusione di Rai International, delle vicende degli italiani all’estero, non rende merito ai nostri concittadini

Berlusconi: Malpensa, mi consenta, ci penso io

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Ci pensa lui. Malpensa soffre? Malpensa in pericolo? Hub da salvare? Non c’è problema. Lo si salva.

L’Italia non deve e non può privarsi di una compagnia di volo nazionale quale l’Alitalia; gli imprenditori dovrebbero organizzarsi

Il fu imprenditore, tuttora tale nell’anima, non ha dubbi. Malpensa va salvata. E lancia l’appello.

Penso che non sia assolutamente possibile che un hub come Malpensa venga privato del 72% dei voli; sarebbe il tracollo per l’industria del Nord, che da sempre è il motore del Paese che trascina l’Italia. I guadagni per la risoluzione dei problemi dell’Alitalia potrebbero portare fino a 200-300 milioni di risparmio, ma ne perderemmo oltre 1000 dalla rinuncia a Malpensa

Vieni avanti Cremlino

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Missione compiuta. Il delfino ha raggiunto l’obiettivo. E il giorno dopo la vittoria alle presidenziali russe, già ci si domanda se Medvedev sarà il replicante del suo mentore Putin, o piuttosto riuscirà a ritagliarsi uno spazio tutto suo nel cuore della Grande Madre Russia. Vedremo.
A dire il vero sembrano in pochi, quelli pronti a scommettere sull’autonomia di un Presidente – diciamolo pure – imposto dall’alto, forse troppo. Eppure – è stato notato – si tratta pur sempre del primo presidente russo non proveniente dagli ambienti militari o dei servizi dai tempi di Ivan il Terribile, e questo è certamente un fatto rilevante. Ma se è stato scelto dal presidente uscente – nonchè premier entrante (!) – Vladimir Putin, che a detta di molti, avrebbe potuto più significativamente designare come erede il fido Ivanov, certamente più simile a lui e, dato non trascurabile, proveniente dagli stessi ambienti, forse qualcosa vorrà pur dire. Forse.
Di certo, l’attenzione dimostrata dal Cremlino, già prima dell’apertura delle urne – con la decisione di Putin di diventare primo ministro – può tradursi politicamente in una fiducia non illimitata nei confronti del giovane Dima. Il suo piglio, già dalle prime interviste in queste settimane ha fatto trasparire infatti un carattere molto diverso rispetto al suo predecessore. D’altro canto la sua giovane età, nonchè il suo percorso formativo molto occidentale, contribuiscono ad alimentare la convinzione che difficilmente lo vedremo rivolgersi ai partner europei e mondiali con la grinta, diciamo così, di Putin.

Medioriente: Palestinese, sei su Scherzi a parte!

Evviva le bufale! Evviva gli scherzi! Evviva le bugie grandi come una casa! Non sono impazzito tranquillizzatevi voi che leggete. Ma la situazione in medioriente, in quella fascia tanto bistrattata quale è la Striscia di Gaza, sta veramente sfiorando una situazione tragicomica. Le vittime sono salite a un centinaio, ma sono le conseguenze che fanno decisamente sorridere, e in un certo senso ricordano delle scene già viste, che vi suggerirò in seguito.

Come abbiamo anticipato nella giornata di ieri (se volete leggere l’articolo lo potete trovare qui: Medioriente: Israele non si fermerà) l’offensiva di Israele via terra, anticipata già dal ministro della difesa, ha avuto luogo. Da come si legge poco sopra le vittime sono risultate un centinaio. Ma allo stesso tempo, da parte di Israele, è giunta la necessità e la voglia di porgere la mano all’ONU e di ritirare le proprie truppe di terra da questa offensiva.

Non si fraintenda il gesto di Israele. Questa continuerà ad attaccare chiunque lanci razzi o missili verso lo stato ebraico. Perchè, nonostante l’offensiva, Israele continuerà a reprimere qualsiasi organizzazione terroristica che minaccerà l’integrità dello stato. Il ritiro di oggi è dovuto solo ed esclusivamente al fatto che l’operazione contro la cellula terroristica è andata a buon fine, portando in questo modo al ritiro delle truppe di terra dalla Striscia di Gaza.

Medioriente: Isreale non si fermerà

Oggi, leggendo un po le notizie qua e là sul web prima di iniziare a scrivere il mio post, mi sono reso conto di una cosa; la situazione nella striscia di Gaza non ci fa sentire più come degli uomini. Non so perchè ma la naturalezza con cui mi sono ritrovato a leggere degli ennesimi morti in Israele, 60 di parte palestinese e 2 da parte israeliana, mi ha fatto sentire meno umano. 62 persone, 62 uomini prima di tutto, prima ancora che israeliani e palestinesi. Che lottano per conquistare la terra che, a loro modo di vedere, gli spetta, ma che lottano soprattutto per non perdere la vita e la libertà.

Nella Striscia di Gaza la situazione è attaccata ad un sottile filo. Basta la minima brezza che potrebbe portare all’offensiva israeliana definitiva. Certo, pensare che 60 morti di parte palestinese non siano un offensiva definitiva fa un po rabbrividire, ma è così. La lotta di Israele al terrorismo è iniziata secondo Olmert, primo ministro israeliano:

Israele non ha nessuna intenzione di fermare la guerra al terrore neanche per un secondo. Rivendichiamo il diritto di difendere i nostri concittadini nel sud del Paese.