Kenya: Annan, no grazie!

Questo paese non fa che stupirmi. Ogni volta che mi ritrovo dinanzi alla mia tastiera per scrivere alcune righe, siano esse di approfondimento oppure di semplice cronaca, l’immagine che mi si figura davanti del Kenya è sempre più ambigua.

Ad alimentare questa situazione di dubbio chiaramente partecipano anche i media, i quali attualmente sono l’unico metodo in nostro possesso per conoscere cosa accade a Nairobi; giornali, televisioni, radio disegnano un giorno in un modo ed un giorno in un altro uno scenario che si può definire in un solo modo: incredibile.

Ricordo negli ultimi giorni di dicembre, sempre su questo sito, scrivevo nei giorni pre-elettorali con la speranza di vedere un Kenya maturo, pronto a mostrarsi “bello” di fronte a tutti i grandi paesi internazionali. Mostrare di essere democratico, di essere onesto, di essere lindo e pulito.


Purtroppo devo ammettere di avere visto tutto tranne che questo. Sono passate quasi tre settimane dalla fine delle elezioni. La conferma al potere di Kibaki, attualmente, è costata tra i 600 e i 700 morti (a seconda dei media che diffondono cifre differenti ma tutte comprese nelle due indicate), un numero inconcepibile per un paese che voleva dimostrare di essere diventato “grande”.

Si sperava in una maturità, almeno da parte dei due contendenti, un segno di mediazione o di diplomazia che permettesse ai cittadini del mondo di comprendere, ma non giustificare, una situazione difficile. E invece niente. Ancora scontri, ancora manifestazioni e ancora morti e feriti. A causa di queste elezioni più di 200 mila persone vivono di stenti a causa delle battaglie interne tra le tribù.

Una situazione in cui nessuno mostra un segno di superiorità, un segno che faccia capire che forse se ne ha abbastanza. A gettare benzina sul fuoco, solo alcune ore fa, ci ha pensato John Michuki, uno dei collaboratori più stretti di Kibaki:

Le elezioni le abbiamo vinte noi, e dunque non vediamo ragione alcuna perche’ chicchessia venga a mediare una spartizione dei poteri.

Se consideriamo che quel “chiccessia” si chiama Kofi Annan, capiamo subito di che pasta è fatto questo Michuki. Che vuole dimostrarci questo “collaboratore”? Personalmente l’unico messaggio che mi ha passato è che probabilmente lui, sulle strade, negli ultimi giorni non ci è stato; almeno non quelle 600 persone che a causa delle sue idee, e di chi sta sopra di lui, oggi non possono più vedere il paese che tanto hanno amato in vita, da essere disposti a perderla per renderla migliore.

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